La Roma in divisa tricolore e l’italianità di Trieste: il calcio e la patria italiana
Roma-Triestina del 1946: la “lupa” in divisa tricolore
Il calcio, oltre al ciclismo, spende allora la propria forza immaginifica in favore dell’italianità di Trieste. È il 22 aprile 1946, lunedì di Pasqua, dal confine nord-orientale occupato arrivano notizie frammentate, che non lasciano presagire nulla di buono. A Roma, in un gremito Stadio Nazionale, là dove oggi sorge lo Stadio Flaminio in stato d’abbandono, si gioca una partita amichevole dagli evidenti richiami politici e patriottici. La Roma, squadra di casa, ospita la Triestina. Per cogliere l’importanza dell’evento, basti pensare che in tribuna è presente Alcide De Gasperi, allora capo provvisorio dello Stato, originario di un’altra terra dapprima irredenta e poi redenta. La Roma, per l’occasione, rinuncia alla sua divisa tradizionale, quella con i colori dell’Urbe, e si presenta in campo con un inconsueto completo tricolore: maglia verde, pantaloncini bianchi, calzettoni rossi. La gara termina a reti bianche, ma non è certo il risultato del campo l’aspetto più rilevante della giornata. I quotidiani d’epoca descrivono un clima di affiatamento tra le due compagini, la capitolina e la giuliana: piovono applausi del pubblico romano nei confronti dei fratelli italiani soggiogati da un crudele destino.
Lo sport come opificio di sogni: Roma-Triestina due anni dopo
Due anni dopo, la storia si ripete. Roma e Triestina si incontrano di nuovo, nello stesso impianto, ma stavolta per una partita ufficiale. Già, perché la squadra della città giuliana, benché ancora formalmente non italiana, viene comunque ammessa nel campionato nazionale. È il 26 settembre 1948, seconda giornata di serie A. Il confine nord-orientale è diventato un anno prima, a seguito del Trattato di Parigi, un Territorio Libero suddiviso in due zone: la “A”, amministrata dagli anglo-americani, e la “B”, in mano all’esercito jugoslavo. Trieste appartiene alla Zona A. Il futuro della città è avvolto dalla nebbia.
Le foibe, il calcio e la speranza di Trieste
Le foibe e l’esodo sono ferite fresche e attualità. Una partita di calcio può rappresentare un momento di evasione dal crudo incedere degli eventi politici, ma anche un’occasione per rivendicare simbolicamente un atto di giustizia. La Roma torna in campo con lo stesso completo di due anni prima: maglia verde, e non per la legge del marketing che imperversa nel calcio moderno. La squadra di casa vince 4-2, ma soprattutto fa trionfare il senso d’appartenenza nazionale. La “lupa” affianca l’Alabarda. È il presagio di quanto avverrà, finalmente, sei anni dopo, cioè ieri di settant’anni fa. Perché sovente lo sport travalica l’aspetto strettamente competitivo per farsi opificio di sogni e incantesimi, laboratorio di istanze sociali e politiche.
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