Stanotte alle 4.19, come da millenni, la luce torna a prendere la meglio sulle tenebre.
E' lo Yule.
Un corteo silenzioso e solenne si dirige verso una pira in un bosco, al centro della pira c'è un palo e tutte intorno, affastellate, fascine e paglia. Sopra, a piramide, sono disposti i tronchi più grossi. Talvolta orna il rogo una ruota di nastri colorati, a simboleggiare il ciclo del sole e della vita. Giunto il corteo, quattro persone si dispongono a croce intorno alla pira.
La prima dice: "Vengo dall'Ovest, terra di Artù, e porto il fuoco". Poi è la volta della seconda: "Vengo dall'Est, terra di Sigfrido, e porto il fuoco". E ancora la terza: "Vengo da Nord, terra di Eric il Rosso, e porto il fuoco". E infine la quarta: "Vengo da Sud, terra di Romolo, e porto il fuoco".
Nell'aria i Carmina Burana si alternano a momenti di silenzio così profondo e assoluto da sembrare irreale. Solo il fuoco crepita. Con il fuoco si scacciano le tenebre.
E' il giorno più corto dell'anno, quello in cui il sole sembra fagocitato dalla notte e ferma la sua semestrale discesa sulla volta celeste. Per i Romani è il Sol Invictus che, da questa notte, inizia la sua rinascita, la sua risalita e il mondo, grazie al nuovo ciclo solare che inizia, risorge insieme con l'astro della vita.
“In linguaggio astronomico il Solstizio d’inverno è il giorno in cui il sole tocca il punto più basso dell’ellittica, quasi come se si allontanasse e sprofondasse nella notte. All’epoca delle grandi glaciazioni, l’umanità di razza bianca rimasta sul continente europeo celebrava in questo giorno la morte e la resurrezione del Sole. All’alba, dopo la notte più lunga dell’anno, fuochi a forma di ruota salutavano il Sole invitto risorgente dall’abisso. Oggi, sull’orizzonte dell’Europa, è Solstizio d’inverno, un interminabile inverno di servitù e di vergogna. Ma noi crediamo, noi vogliamo credere all’imminente resurrezione della luce”.
-Adriano Romualdi-
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