domenica 15 settembre 2024
IERI A UDINE - GRAZIE A TUTTI - 2 Foto -
Ieri, sabato 14 settembre
Presentazione de "La Migliore Gioventù" a Udine
presso il Circolo Drago Verde
Un GRAZIE ad organizzatori,intervenuti e partecipanti
sabato 14 settembre 2024
L'Italia prima di Italia Germania 4-3 a Mexico 1970
Accosciati: Bertini, Cera, Mazzola, De Sisti, Burgnich
venerdì 13 settembre 2024
giovedì 12 settembre 2024
𝑳𝑬 𝑷𝑬𝑹𝑳𝑬 𝑫𝑬𝑳 𝑩𝑹𝑬𝑺𝑺𝑶 di Roberto Johnny Bresso
IL NEMICO O LA PARANOIA DELL'ANTIFA - Leggi l'Articolo/ Visita la Pagina Facebook
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All fans in the world for Kosovo is Serbia - Cyprus is Greek- Kosovo is Serbia
QUANTO VALE UN UOMO ? ( PARTE SECONDA ) - articolo di repubblica -
Dalla marcia su Sofia alla vergogna di Budapest, una galassia dal cuore nero
Chi sono gli ultrà che a Budapest si sono girati di spalle al momento dell’inno di Israele
Più neri che azzurri, e più neri che tricolori. Volendo usare il perfido sarcasmo dei supporter inglesi — nonché croati e spagnoli — agli ultimi Europei, si potrebbe anche aggiungere more flags than men: più bandiere (striscioni) che uomini. Per dire, insomma, che gli ultrà della Nazionale italiana di calcio sono di estrema destra ma non sono proprio una forza di massa. Un paio di centinaia quando ci sono (state) partite importanti; una cinquantina, cento al massimo, come media. Cinquanta, ovvero il numero di tifosi che a Budapest si sono prodotti nel voltaspalle all’inno israeliano.
Va subito detto: la storia di Gaza non sta in piedi. È stata pretestuosa. Non assimilabile, nemmeno con una forzatura, alle storiche istanze filopalestinesi della destra neofascista che — dagli anni 70 fino a Forza Nuova e CasaPound — in chiave antisemita e anti-atlantista si è quasi sempre schierata contro Israele. Degli sviluppi e delle dinamiche del conflitto israelo-palestinese alle sparute rappresentanze ultrà di Hellas Verona, Udinese, Bari, Latina, Padova, Ascoli, Angri — e via scendendo, solo per citare alcune delle “pezze” tricolori che arredano le curve italiane quando giocano gli Azzurri — importa zero. È solo estetica da camerati.
Ultras Italia nati nel 2000
Va così dal 2000, anno di nascita degli Ultras Italia (tra i promotori c’è l’avvocato di Udine Giovanni Adami specializzato nella difesa degli ultrà di mezzo Stivale). I curvaioli al seguito della Nazionale, a parte la marcia nera di Sofia nel 2008 — saluti romani, inni al duce e scontri con la polizia — fino al 2010 si notavano pochissimo. Il punto di caduta della visibilità è datato 17 novembre di quell’anno. A Klagenfurt in Austria si gioca l’amichevole Italia-Romania. Sugli spalti spuntano striscioni che chiedono “Giustizia per Gabriele” (Sandri, il tifoso della Lazio ucciso nel 2007 dallo sparo di un poliziotto) e “No alla nazionale multietnica”. Gli ultrà ce l’hanno con Cristian Ledesma, laziale di origine argentina convocato dal ct Cesare Prandelli, ma soprattutto con Mario Balotelli. “Non ci sono neri italiani”, “Nell’Italia solo italiani” scandiscono i tifosi politicizzati. Ne vengono identificati 41, per un 20enne di Udine scatta il fermo. Cialtronerie nazionaliste condite da razzismo e saluti romani. Come quelli del 2016 allo stadio Sammy Ofer di Haifa dove Israele e Italia — ancora Israele — si giocano la qualificazione ai mondiali di Russia 2018. Tre tifosi baresi indagati per il braccio teso.
Fermati e daspati a Budapest
E poi? La sigla Ultras Italia si spegne gradualmente. Quasi nessuno se ne accorge. Solo al Viminale. «Ci hanno provato, non ce l’hanno fatta», osserva Maurizio Marinelli, sociologo, già direttore del Centro studi sicurezza pubblica della Polizia di Stato, tra i massimi esperti italiani di tifoserie e stadi. «Il collante dell’ideologia funziona per le curve delle squadre di club, per la Nazionale no». A differenza di altre nazionali l’Italia continua ad avere un seguito di tifosi assai esiguo. L’evoluzione spontanea degli Ultras Italia sono quelli dello striscione “Libertà per i ragazzi con i tricolori” visto e rivisto (anche a Budapest). Sono i “ragazzi” fermati e daspati dalla polizia in Germania lo scorso giugno durante l’Europeo. Alcuni avevano improvvisato un corteo a Dortmund, inno di Mameli e saluti fascisti.
Gli striscioni con i nomi delle città
Il 29 giugno sul profilo Ig Hellaslive — la prima app al mondo dedicata solo all’Hellas Verona — è comparsa una foto della trasferta a Euro2024 per Svizzera-Italia. “Verona presente”. In tre, magliette nere, reggevano lo striscione “Verona”, scritto con il tradizionale font della destra neofascista. Il marchio di fabbrica degli ultrà dell’Italia restano gli striscioni tricolori con i nomi delle città. Chi sta dietro, la domenica segue per lo più squadre di Serie C e B. Nardò, Andria, Pagani, Catanzaro. Quando giocano gli azzurri è il loro momento, il quarto d’ora di celebrità (in diretta Rai) di Andy Warhol. Una cosa è certa: possono girare le spalle a un inno, ma non puntano all’eternità.
PER SAPERE QUANTO VALE UN UOMO, TORNA ALLA PRIMA PARTE
mercoledì 11 settembre 2024
La storia di Abu Fani, il bomber arabo osteggiato dai nazionalisti d’Israele - Articolo
La storia di Abu Fani, il bomber arabo osteggiato dai nazionalisti d’Israele
Era una partita che non poteva non far discutere, quella di lunedì sera tra Israele e Italia in Nations League. Sulla stampa italiana si è parlato molto di un gruppo di ultras azzurri che si sono voltati di spalle durante l’inno israeliano, e che in seguito si sarebbero resi protagonisti di alcune espressioni neofasciste, da saluti romani al canto “Avanti ragazzi di Buda”, fino ai cori contro Ilaria Salis (d’altronde, si giocava sul campo neutro di Budapest). Più marginalmente, qualcuno ha segnalato che il gol della bandiera realizzato nel finale da Israele sia stato opera di un giocatore di origini arabe, sottolineando la pluralità della selezione di Tel Aviv. Ma la storia di Mohammad Abu Fani, in realtà, racconta una realtà ben diversa.
Abu Fani è nato nel 1998 a Kafr Qara, un villaggio arabo circa 35 km a sud-est di Haifa, nel nord di Israele: fa parte del cosiddetto Triangolo, una zona in cui sono concentrati molti insediamenti arabi in territorio israeliano. Kafr Qara ospita circa 20.000 abitanti e, proprio al centro del villaggio, una base militare dell’IDF e la Firing Zone 109, un campo di esercitazioni di tiro. “Non è facile vivere in un posto del genere. – raccontava Abu Fani ad Haaretz, nel giugno 2023 – Senti sempre i colpi d’arma da fuoco, anche quando dormi. Ma, alla fine, ti ci abitui”. Vivendo vicino ad Haifa, Abu Fani è cresciuto nel settore giovanile del più importante club locale, il Maccabi, dove si è affermato come un ottimo centrocampista, debuttando in prima squadra nel maggio 2017 e poi vincendo tre campionati nazionali. Nell’autunno del 2022 ha anche giocato i gironi di Champions League, affrontando tra le altre la Juventus.
L’aspetto della sua vicenda che ci interessa di più, però, avviene nel giugno successivo, quando scende in campo con Israele al Teddy Stadium di Gerusalemme contro Andorra, in un match valido per le qualificazioni agli Europei del 2024. Non è la sua prima partita in Nazionale, eppure per la prima volta Abu Fani riceve insulti razzisti da parte dei suoi stessi tifosi: alcuni cori lo additano addirittura come “terrorista”, per via delle sue origini arabe. “Ho passato una notte difficile, ho pianto un sacco e ho avuto molti pensieri per la testa. – confessa poi ai media israeliani – Sono venuto qui per giocare con la Nazionale, e sono stato umiliato. I responsabili dovrebbero finire in prigione”. Dopo questo fatto, Abu Fani ha ricevuto grande supporto da tifosi e compagni di squadra, dal suo allenatore e anche da alcuni politici, come ad esempio il Ministro dello Sport e della Cultura Miki Zohar e il Presidente Yitzhak Herzog (non pervenuto, invece, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, noto per la sua ostilità agli arabi).
Abu Fani ha ringraziato del supporto, ma ai politici ha chiesto meno parole e più azione per impedire ai razzisti di entrare negli stadi. Si trattava, probabilmente, di sostenitori del Beitar Gerusalemme, la squadra che tradizionalmente gioca al Teddy Stadium, che sono noti per essere la tifoseria più a destra del paese e per essersi sempre opposti all’ingaggio di giocatori arabi o musulmani nel loro club. Ma subire razzismo in Israele, sei hai origini arabe, non è una cosa insolita: ad Haaretz, Abu Fani ha raccontato che è una cosa a cui è purtroppo abituato in campionato, specialmente quando gioca contro il Beitar o il Maccabi Tel Aviv. Di certo, non si aspettava potesse accadere giocando con la Nazionale. A scanso di equivoci, nessuno dei responsabili degli insulti che ha ricevuto è mai stato identificato e punito, e forse il motivo è da ricercarsi nei profondi legami tra gli ultras del Beitar e il Likud: durante le proteste dell’estate 2020 contro Netanyahu, questi tifosi avevano addirittura aggredito dei manifestanti.
Quando è arrivato il 7 ottobre, Abu Fani si era già da qualche mese trasferito a giocare all’estero, firmando con gli ungheresi del Ferencváros. Nonostante questo, ha dovuto pubblicare sui suoi canali social un messaggio in cui condannava gli attacchi di Hamas. Ma oltre a questo aggiungeva: “Ogni volta che succede qualcosa del genere si chiede agli arabi di condannarlo, come se ne fossimo responsabili, e ciò è inaccettabile”. Il suo non è un caso isolato: il suo ex-compagno di squadra Dia Saba è stato costretto a lasciare il Maccabi Haifa a gennaio 2024, dopo che sua moglie aveva condannato sui social le violenze israeliane nella Striscia di Gaza, a causa delle dure proteste dei tifosi del club (che è considerato uno dei più inclusivi del paese). Nel 2022, uno dei più grandi calciatori arabo-israeliani di sempre, Moanes Dabour (ha giocato a lungo in Europa: Grasshoppers, Red Bull Salisburgo, Siviglia, Hoffenheim), ha deciso di ritirarsi dalla Nazionale per protesta, dopo gli insulti ricevuti per avere criticato l’atteggiamento di Israele in Palestina. Queste storie sono piccoli esempi di come l’integrazione degli arabi in Israele sia ben più complicata di quanto non potrebbe far pensare un giocatore musulmano che segna un gol con la maglia della selezione di Tel Aviv.
𝑳𝑬 𝑷𝑬𝑹𝑳𝑬 𝑫𝑬𝑳 𝑩𝑹𝑬𝑺𝑺𝑶 di Roberto Johnny Bresso
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