"Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai quattro grandi, i quali alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre all'Italia, condannandolo o agli esperimenti di una nuova Danzica o, con la più fredda consapevolezza, che è correita', al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazione, di esilio. "
Questa la rivendicazione di Maria Pasquinelli.
Sarà processata a Trieste e condannata a morte, la pena sarà poi commutata in ergastolo, per uscire dal carcere nel 1964 dopo aver ottenuto la grazia presidenziale.
Al processo, dichiarerà,
"Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d'ora dichiaro che mai firmero' la domanda di grazia agli oppressori della mia terra".
Il giorno successivo a Trieste comparivano dei manifesti con scritto
" Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli. Viva l'Italia! ".
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