A Bologna il treno degli ITALIANI esuli istriani e dalmati fu preso a sassate e il latte per i bambini fu rovesciato sui binari.
18 febbraio 1947, la guerra è finita da tempo ed è il giorno che passa alla storia (quella che si voleva occultare) per gli episodi del cosiddetto “Treno della vergogna”. Un convoglio trasporta da Ancona i profughi provenienti da Pola: si tratta di esuli italiani che con la fine della Seconda Guerra Mondiale si ritrovano COSTRETTI - perché terrorizzati e perseguitati dai partigiani comunisti di Tito - ad abbandonare le loro case in Istria, Quarnaro e Dalmazia. Domenica 16 febbraio 1947 i profughi partono da Pola a bordo di diversi convogli, portandosi dietro il minimo indispensabile, ovvero quel poco che riescono a salvare. Ma giunti ad Ancona (e gli ignari son lieti di essere approdati nella Madrepatria dopo tante sofferenze) per gli esuli si rende necessario l’intervento dell’esercito: i militari devono proteggerli da connazionali, militanti comunisti, che non solo non mostrano solidarietà, ma li “accolgono” con avversione e violenza. Il giorno seguente, di sera, partono di nuovo stipati in un treno merci già carico di paglia. Il convoglio arriva alla stazione di Bologna solo alle 12:00 del giorno seguente, quindi proprio martedì 18 febbraio. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Ma quando gli esuli giungono nella città emiliana, alcuni ferrovieri sindacalisti diramano un avviso ai microfoni, incitando i compagni a bloccare la stazione se il treno si fosse fermato. Allo stop del convoglio ci sono persino alcuni giovani che, sventolando la bandiera con falce e martello, iniziano a prendere a sassate i profughi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Altri lanciano pomodori e addirittura il latte che era destinato ai bambini, ormai quasi in stato di disidratazione. A causa di questi atti vili il treno deve ripartire per Parma, dove finalmente si riesce ad andare in aiuto dei profughi ormai allo stremo delle forze. Da lì, ripartono poi per La Spezia, dove sono temporaneamente sistemati in una caserma. Il giornalista de l’Unità Tommaso Giglio, in seguito divenuto direttore de L’Espresso, scrive un articolo il cui titolo recita “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?”. Ma la testata comunista, già nel 1946, dichiarava: "Ancora si parla di 'profughi': altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi"."
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Oggi ricade l'anniversario del treno della vergogna, che nessuno a sinistra ricorda o sarà un falso storico anche questo?
Treno della vergogna è la locuzione popolare con cui s'intende il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò da Ancona chi proveniva dal quarto convoglio marittimo di Pola, carico di esuli italiani .
Fu anche offensivamente definito, da una parte dei ferrovieri di allora, treno dei fascisti, a testimonianza della disinformazione e del contesto estremamente politicizzato in cui tale vicenda si consumò.
Ecco cosa avvenne...
La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, un tricolore. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall'esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà.
Ad accogliere benevolmente gli esuli ci furono tre uomini, dei quali due con la fisarmonica, che cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane: questi erano esuli precedentemente sbarcati e che avevano combattuto nella resistenza italiana.
La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra la paglia all'interno dei vagoni, alla volta di Bologna dove la Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani.
Il treno giunse alla stazione di Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente, martedì 18 febbraio 1947. Qui, dai microfoni di certi ferrovieri sindacalisti fu diramato l'avviso "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione".
Il treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera con falce e martello, altri buttarono addirittura il latte destinato ai bambini in grave stato di disidratazione sulle rotaie.
Per non avere il blocco del più importante snodo ferroviario d'Italia il treno venne fatto ripartire per Parma dove POA e CRI poterono tranquillamente distribuire il cibo trasportato da Bologna con automezzi dell'esercito; la destinazione finale del treno fu La Spezia dove i profughi furono temporaneamente sistemati in una caserma.
Anche molti giornali mostrarono purtroppo disprezzo verso gli esuli.
Il giornalista de l'Unità Tommaso Giglio, poi direttore de L'Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava" Chissà dove finirà il treno dei fascisti?."
Una testimonianza
Quello che successe al treno a Bologna ce lo racconta uno di quei profughi, Lino Vivoda.
"Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei '47, quando da Pola s'imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto convoglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto portare con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. "Era come voler trattenere dentro l'incomparabile visione della nostra cittadina.
Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria".
"Ad Ancona l'impatto fu tremendo. C'era un cordone dell'esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal ponte della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso".
Possibile che nessuno la pensasse diversamente. che non sentisse fratelli quei "veneti di la de mar"?
Un episodio, toccante ci fu.
"Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro, accettati per aver combattuto a fianco dei partigiani. Una scena commovente che un po' ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po' smise.
Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attraverso l'Italia semisepolta dalla neve.
Dopo innumerevoli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bologna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno.
La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani". Ma dai microfoni "rossi" una voce gridò: "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione". Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il "treno dei fascisti", era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello.
Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambini già in grave stato di disidratazione.
Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell'esercito e distribuiti dalle crocerossine.
"Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio
fonte Pino Verardi
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