Infine, se è vero che un colpo di stato si fa con la partecipazione di strutture che sono dello stato dell’epoca e, quindi, potenzialmente nostre avversarie, è anche vero che nostri uomini, eredi del passato, erano ancora in quelle strutture e, in più, avevamo la consapevolezza che quell’atto, se ne fossimo stati protagonisti, avrebbe fatto crescere la nostra capacità “contrattuale” nella fase successiva.
Non avremmo mai consentito, e questa era una nostra volontà precisa, avallata, condivisa ed imposta dal Comandante Borghese, che i militari prendessero in mano le redini del governo. Infatti, se si fosse realizzato, per noi sarebbe stato un autentico atto rivoluzionario che ci avrebbe consentito di iniziare a capovolgere gli esiti di sudditanza totale agli interessi antinazionali che avevano vinto il conflitto mondiale.
…E poi, detto in chiare lettere, avremmo dato una forte scossa, sia alla staticità della politica, sia alla strana piega sovversiva che stava prendendo la società ormai indirizzata velocemente verso l’abolizione di qualsiasi valore umano e sociale, preda sempre più dell’interesse economico, e dei conseguenti disvalori, quali la corruzione, il furto, lo sfruttamento del prossimo… i cui esiti stiamo vivendo drammaticamente ai giorni nostri.
Era una giornata strana quel 7 dicembre, già dalla sera prima avevo allertato i gruppi più fidati ed audaci: convocazione in vari punti della città per contestare l’arrivo in Italia di Tito, il massacratore di Italiani, l’infoibatore, e per prevenire possibili provocazioni.
La mattina la passiamo in interminabili discussioni su tutte le possibilità e sul nostro ruolo. Ognuno ha il suo compito. Io sto con tutto il nucleo universitario in via Arco della Ciambella, la convocazione è per le ore 15; la puntualità è una delle nostre caratteristiche.
Alle 15 la nostra sede storica è già piena di tutti i convocati: l’aria è tesa, l’entusiasmo si tocca con mano, la solita atmosfera di forza e potenza è moltiplicata quest’oggi, si respira un’aria d’azione e di novità.
Siamo abituati alla disciplina, all’ordine, all’autocontrollo nonostante la giovane età. Ognuno svolge in silenzio le solite mansioni politiche per la normale attività. Alle 16 qualcuno spiega le ragioni per cui siamo convocati e illustra in modo puntuale perché la visita del boia Tito fosse un’offesa contro l’Italia e le migliaia di innocenti assassinati nelle foibe: pagine indimenticabili che la storia ufficiale ha volutamente cancellato dai libri di testo. Sono queste spudorate menzogne che hanno profondamente minato il senso di appartenenza e l’identità del popolo italiano.
Il tempo trascorre lentamente, le ore non passano mai, la tensione cresce ma tutti sanno che si deve restare in attesa. Io resto chiuso nella stanza della direzione con gli altri dirigenti: sappiamo che possiamo contare sulla serietà dei nostri militanti Infatti nessuno si lamenta per la mancanza di notizie, né per l’inattività; siamo tutti giovani che sanno cosa sia il sacrificio e quanto pesi agire senza subire conseguenze ovvero ottenere il maggior risultato con il minor sforzo.
Alle 20 suonano alla porta, vengo chiamato: sono due giovani del Gruppo Delta, un improvvisato movimento universitario romano. Vado alla porta, mi dicono che sanno che qualcosa di importante sta per succedere a Roma, hanno fatto tardi e vogliono aggregarsi a noi. Rispondo che non ne sappiamo nulla e che siamo riuniti nella nostra sede solo per difenderla da eventuali attacchi da parte dei compagni in occasione della visita di Tito e per intervenire in qualsiasi parte della città in caso di necessità o di opportunità per contestare concretamente la presenza di Tito a Roma. Mi chiedono di restare comunque con noi, ma rifiuto: non posso permettere che i nostri giovani stiano insieme a persone che confessano di aver fatto tardi per un appuntamento che, a loro dire, era “qualcosa di importante”: non sono persone serie!
Ovviamente, nella nostra sede, tutti sono rimasti al loro posto e nessuno ha ascoltato le frasi degli improvvisati visitatori. Non c’era alcun segno di stanchezza ma tanta adrenalina, tanto entusiasmo, tanto desiderio di entrare in azione. Alle 23 arrivano due persone, che nel pomeriggio erano venute altre due volte per metterci al corrente della situazione, ci comunicano che entro un’ora sarebbero venuti a prenderci e, quindi, di prepararci.
Alle 23,30 comunichiamo ai nostri militanti presenti, tutti trepidanti per il movimento che avevano visto, che stavamo per entrare in azione: silenzio, pathos, emozione, freddezza esteriore sono le prime reazioni. Per scaricare la tensione consiglio a qualcuno di fare alcune flessioni, data l’ora tarda, chiedo se c’è chi ha voglia di tornare a casa: sguardi freddi ma pieni di tensione e ghigni di sfida sono l’unica risposta che ricevo. Siamo pronti!
Alle 24 in punto suonano nuovamente alla porta: ci siamo!
E’ la stessa staffetta di sempre: contrordine, tutti a casa.
No, non ci stiamo, dobbiamo fare qualcosa: dobbiamo andare avanti. Anche io sono dello stesso parere: se si rinvia non si fa più, d’altra parte Tito partirà l’indomani mattina. Proviamo a forzare la mano; niente da fare, gli ordini non si discutono.
Stancamente con la delusione sul volto e nell’animo usciamo dall’Arco della Ciambella con l’impegno che nessuno ne avrebbe parlato neanche fra di noi… e così è stato.Due anni dopo sulle prime pagine dei giornali leggiamo che quella notte in quelle ore c’era stato un tentativo di colpo di stato: nomi, arresti, situazioni e fatti vengono descritti nei particolari. Escono i nomi degli informatori, vengono trovate agende di persone che appuntavano tutto ma, su Avanguardia Nazionale, non esce nulla. Nessuno viene arrestato, nessuno viene incriminato, anche se cercano di metterci dentro la situazione in tutti i modi. L’unico che tentano di colpire giudizialmente è il designato capro espiatorio di tutti gli eventi importanti di quegli anni e dei successivi, Stefano Delle Chiaie, ma quella sera, e ne sono testimone telefonico diretto, era all’estero.
Nei giorni successivi cercheremo di avere dettagli e mi sono fatto un’idea precisa di quanto accaduto, o di quanto avessi ragione nella mia idea di andare avanti. Ho provato a storicizzare l’evento, in un recente passato, sia per rimarcare l’enorme figura del Comandante Borghese, sia per dare i giusti meriti a chi, ha sacrificato tutto sé stesso per raggiungere un sogno incredibile e far capire agli Italiani chi sono gli sconosciuti che hanno cercato di dare all’Italia un futuro migliore.
Troppe polemiche, molta delusione: evidentemente il tempo ha cancellato quella grande energia e quella voglia di cambiare. Fermo qui i miei ricordi per evitare di tributare il giusto prestigio a chi non lo vuole e intende restare nell’anonimo silenzio.
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