martedì 29 aprile 2025

AGLI ULTIMI DIFENSORI DELL'EUROPA



 

ULTRAS VERONA PER SERGIO RAMELLI


 

SABATO 10 MAGGIO ore 17:30 - I RAGAZZI COL VERDONE- Segna la data


 

HJ QUEX - FILM COMPLETO (1933)


 Hitlerjunge Quex (sottotitolo: Ein Film vom Opfergeist der deutschen Jugend) è un film del 1933 diretto da Hans Steinhoff. Tratto dal romanzo di Karl Aloys Schenzinger, è un film di propaganda su un giovanissimo aderente al partito nazionalsocialista che, mentre sta distribuendo dei volantini, viene colpito e ucciso in un quartiere comunista.

Heini Völker è un adolescente che vive in povertà con sua madre e suo padre. Il padre di Heini, un veterano della Grande Guerra, è un sostenitore disoccupato del Partito Comunista. L'organizzatore della sezione comunista locale, un uomo di nome Stoppel, fa amicizia con Heini e lo invita a una gita in campagna, promettendogli nuoto, campeggio e giochi. Heini accetta e il giorno successivo si presenta puntualmente alla stazione ferroviaria. C'è anche un gruppo di ragazzi della Gioventù hitleriana, che prende lo stesso treno.

Quando i comunisti arrivano al loro campo, si fuma, si beve e si balla. Ragazzi e ragazze giocano a carte, a differenza dei giochi che Heini si aspettava. Heini non si sente il benvenuto e se ne va. In un'altra parte della foresta, Heini incontra la Gioventù hitleriana accampata vicino a un lago dove stanno tenendo un falò di mezza estate. Heini li osserva da lontano, ma viene catturato da loro e portato nel campo, ma riconoscono che aveva viaggiato con i comunisti, e quindi mandano via anche lui. Heini li vede fare tutte le cose a cui sperava di partecipare, cioè campeggiare e nuotare. È innamorato del loro canto. Al mattino, Heini osserva le attività mattutine della Gioventù hitleriana, ma Stoppel viene a cercarlo. Si nasconde da Stoppel e invece riceve un passaggio in città da uno sconosciuto. Quando Heini torna a casa sua, racconta a sua madre della Gioventù hitleriana e le canta una delle loro canzoni, ma suo padre la sente e lo picchia per questo.

Heini vuole unirsi alla Gioventù hitleriana e visita la casa di uno dei membri, promettendo di venire all'inaugurazione della loro nuova sede. Tuttavia arriva tardi, proprio mentre i comunisti stanno attaccando i membri della Gioventù hitleriana. Anche se non ha nulla a che fare con l'aggressione, è tra gli arrestati dalla polizia. La polizia arresta alcuni giovani hitleriani, ma nessun comunista. Quando la polizia lo lascia andare, viene riconosciuto dai membri della Gioventù hitleriana, che lo accusano di collusione con i comunisti durante l'attentato.

Stoppel è colpito dal fatto che Heini non abbia detto alla polizia che sono stati i comunisti a scatenare il putiferio. Gli confida che i comunisti intendono attaccare la Gioventù hitleriana più tardi quel giorno, ma Heini è sconvolto e minaccia di dire alla Gioventù hitleriana dell'attacco. Tenta di avvertire Ulla telefonicamente, ma Fritz respinge la questione. Heini informa anche la polizia, ma neanche loro gli credono. Alla fine, Ulla sembra aver convinto Fritz a fare qualcosa, mentre il deposito di armi dei comunisti viene fatto saltare in aria.

Stoppel si rende conto che Heini deve aver avvertito la Gioventù hitleriana, e va a casa di Heini e fa capire a sua madre che lo ucciderà. Tuttavia, in seguito Stoppel cambia idea e ordina ai comunisti di non reagire contro Heini. La madre di Heini è così sconvolta che decide di uccidere se stessa e suo figlio chiudendo le finestre e lasciando il gas aperto nel loro appartamento di notte. Resta uccisa, ma Heini sopravvive.

Il padre di Heini incontra il leader delle truppe della Gioventù hitleriana, Kass, quando entrambi gli uomini vanno a trovare Heini all'ospedale. È qui che il padre di Heini rivela che è stato ferito in guerra e che questo è il motivo per cui non poteva lavorare. Kass tenta di convincere il padre di Heini ad unirsi ai nazisti. Heini decide di trasferirsi in un ostello gestito dalla Gioventù hitleriana, dove scopre con sgomento che non tutti i membri hanno valori morali così elevati come aveva pensato. Lo chiamano Quex, originariamente come insulto, abbreviazione di "Quecksilber" ("argento vivo").

Il leader della Gioventù hitleriana si guarda bene dal mandare Heini nel quartiere dove vivono i comunisti, ma scopre dove si trovano. Stoppel cerca Heini per strada e cerca di convincerlo a tornare dai comunisti. Heini rifiuta e Stoppel lo avverte di non tornare nel distretto comunista. Un giorno, un membro della Gioventù hitleriana viene picchiato dai comunisti mentre affigge manifesti, e Heini convince il suo leader a permettergli di visitare il quartiere comunista per distribuire volantini. Tuttavia, il suo compagno della Gioventù hitleriana Grundler è stato accolto dalla ragazza comunista Gerda e getta tutti i volantini nel fiume. Heini si offre quindi di ristampare tutti i manifesti durante la notte e di affiggerli prima del mattino. I comunisti ne vengono a conoscenza, lo inseguono e lo pugnalano. La Gioventù hitleriana lo trova disteso a faccia in giù, morente.

JUNKER - APRILE


 

Sergio- Civico88


 

ONORE A SERGIO RAMELLI, ENRICO PEDENOVI, CARLO BORSANI


 

domenica 27 aprile 2025

ROVETTA, 28 APRILE 1945


 

ROVETTA, 28 APRILE 1945

“con l’avvicinarsi della primavera, il 28 aprile di ogni anno, sull’ imbrunire, dalla strada che scende dal Passo della Presolana, raffiche di vento strisciano tra le case poste sotto la montagna, rumoreggiando sulle pietre della via come un passo chiodato; sembra un passo cadenzato: è il marciare dei Ragazzi della Tagliamento, quando di pattuglia, scendevano a valle cantando“…per voi ragazze belle della via che avete il volto della primavera, per voi che siete tutta poesia e sorridete alla camicia nera…”
Si! è il cantare dei Legionari trucidati a Rovetta, che tornati in quella vallata, risalgono sulla Presolana, dove ogni notte sono di pattuglia; cantano, marciano e, mentre attendono giustizia, si chiedono e chiedono "PERCHE’ ?"
(tratto dal libro "ONORE–Una strage; perché? Rovetta 28 aprile 1945" a cura di Giuliano Fiorani)

AI 43 MILITI DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO TRUCIDATI INERMI
IN ROVETTA IL 28 APRILE 1945
E NEL RICORDO DI TUTTI I CADUTI PER L’ONORE
ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16
COSA E' SUCCESSO A ROVETTA (BG)
IL 28 APRILE 1945 ?
ROVETTA 28 APRILE 1945.
STORIA DI UNA STRAGE
Tratto da “Il senso segreto della strage di Rovetta”, di Leone Belotti
Ultimi giorni di Aprile del 1945, la guerra è finita. Nel fuggi fuggi generale, mentre tutti si imboscano o si travestono, al passo della Presolana, in val Seriana, tagliati fuori da tutti, ci sono 43 balilla che ancora tengono il presidio.
Li comanda un sottotenente di 22 anni, l’età media è di 17 anni, i più giovani non hanno ancora 15 anni. Studenti, si erano arruolati dopo la fuga del re, per salvare l’onore della patria. Nati e cresciuti nella retorica fascista, non c’è da stupirsi che vogliano resistere in armi contro il resto del mondo, fino alla “bella morte”.
Il Comitato di Liberazione ordina: cessare il fuoco, arrendersi, consegnare le armi, è fatta salva la vita. E’ il parroco a convincerli a scendere dai monti, a rassicurarli che la resa sarà onorevole.
Giunti a Rovetta vengono presi in consegna dai partigiani, e dopo due giorni di prigionia quasi familiare (alcuni erano fidanzati con ragazze del posto) la notte del 27 accade qualcosa di poco chiaro, compaiono figure misteriose, agenti segreti, auto lussuose: all’alba del 28 Aprile i 43 balilla vengono picchiati, spogliati e condotti dietro il cimitero, dove vengono fucilati (mitragliati), a gruppi di cinque, e sepolti sommariamente.
Questo episodio, noto (non troppo) come “la strage di Rovetta” è la prima macchia dell’Italia nata dalla Resistenza. Chi diede l’ordine di fucilare prigionieri che si erano arresi conformemente agli ordini del Comitato di Liberazione?
Per quale ragion di stato 43 ragazzini che non erano stati responsabili di violenze, come testimoniato da uno dei capi partigiani, sono stati trucidati a sangue freddo?
Un processo farsa nel dopoguerra ha chiuso la questione (l’esecuzione fu considerata come “azione di guerra”, e dunque non punibile, grazie a un apposito decreto).
Gli esecutori materiali, processati e assolti, portano i cognomi più diffusi della zona, chiunque in Val Seriana conosce un sacco di gente con quei cognomi, Savoldelli, Zanoletti, Balduzzi, Percassi, amici, clienti, soci, collaboratori, gente con cui lavori. Gli ho detto: chiedi ai tuoi, agli zii, ai nonni: dim ergot! Niente. Nessuno sa niente, nessuno dice niente. Curioso come un bergamasco possa somigliare a un calabrese, in certi silenzi. Una pagina rimossa. E che pagina! L’innesco della mattanza!
Il giorno dopo la strage, il 29 Aprile 1945, l’Unità scriveva: “La peste fascista deve essere annientata. Con risolutezza giacobina il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato. Non è l’ora questa di abbandonarsi a indulgenze che sarebbero tradimento della causa…” E’ il famoso articolo Pietà l’è morta. Firmato: Giorgio Amendola, cioè uno dei “padri della patria”.
Amendola si riferiva a piazzale Loreto, ma come non leggere in queste parole un’apologia alla pulizia etnica?
Il macello di piazzale Loreto non bastava, qualcuno ha voluto e ordinato un bagno di sangue generale, nazionale, e occorreva un esempio immediato, ecco la strage di Rovetta: l’appello de l’Unità dunque significa “fate come a Rovetta”, trucidate pure chiunque abbia una camicia nera. A rigore: almeno il 90% degi italiani.
Ma proprio nel corso di quella notte, gli italiani, ormai ginnasti esperti del consenso, si “liberarono”, e divennero tutti antifascisti convinti, e anche assetati di sangue. Nel corso del successivo mese di Maggio, furono uccise oltre 40.000 persone a sangue freddo, senza distinzione, civili, donne, bambini, anziani, per strada, in piazza, in casa, ovunque, per lo più vendette private su persone comuni, con l’alibi di “annientare la peste fascista”, mentre i gerarchi e i servi del regime si riciclavano in parlamento, nei ministeri, nelle aziende e nelle case editrici.
Dobbiamo capire che dietro la cornice della “Liberazione” c’è un bagno di sangue attuato per occultare la magia del gattopardo, il trasformismo delle elites (non il ricambio).
Cose che un’intera generazione ha visto ma taciuto alla generazione successiva, la mia, la nostra, per cinquant’anni, fino anni Novanta, cioè dopo il crollo del comunismo, quando giornalisti, storici ed editori hanno preso coraggio (!) e aperto gli archivi dell’orrore.
Torniamo a Rovetta. Nella formazione partigiana responsabile della strage c’erano personaggi noti della resistenza bergamasca, e anche una figura misteriosa, il Mohicano, che si è poi rivelato essere un agente dei servizi segreti inglesi, il cui anonimato è stato usato fino ai giorni nostri come pretesto/alibi per non dire la verità proprio da parte di coloro che erano incaricati di fare luce (L’istituto storico della resistenza).
Non ci vuole Einstein per capire che se hai un problema non puoi chiedere di risolverlo a chi ci ha basato sopra la sua esistenza (a meno che si abbia a che fare con grandi uomini, se Einstein mi permette la precisazione, a mio parere dovuta, per quanto sperimentalmente improbabile).
Oggi possiamo dire questo: se a livello nazionale ci hanno mentito per quasi 50 anni, a livello locale, sui fatti di Rovetta, siamo già a 70. Perché? Chi c’è dietro, cosa c’è sotto questo segreto di stato? Chi diede l’ordine?
Cose pesanti da digerire per chi è stato allevato nel mito della resistenza e dell’antifascismo. Alle medie ci portavano in gita scolastica a Marzabotto, alle fosse Ardeatine, sapevamo tutto di quei fatti, ma di Rovetta, dove si andava in villeggiatura, non si sapeva niente.
Ma non vorrai paragonare… Si invece, paragoniamo, la barbarie è barbarie.
Sarebbe bello e giusto che finalmente saltasse fuori qualcuno di quelli che a Rovetta (non a Kabul) da 70 anni sanno e tacciono, anche un figlio, un nipote, e ci raccontasse come è andata. A cosa mi serve un prestigioso Istituto Storico della Resistenza e un simpatico Museo Storico della Città se dopo 70 anni non mi hanno ancora spiegato il fatto storico più rilevante accaduto qui dove sono nato e cresciuto, dove vivo e lavoro?
Leggere le carte del processo, con tutti gli omissis e i non ricordo-non so, con le raffinatezze acrobatiche del diritto per assolvere tutti, mette i brividi, perché riconosci la matrice di quella lunga serie di processi farsa che caratterizzerà la storia stragista d’Italia negli anni a seguire e fino ai giorni nostri.
Una grande delusione, una grande rabbia. Aver studiato storia per vent’anni, aver creduto a quei miti, per poi scoprire verità allucinanti, armadi nascosti, scheletri su scheletri.
Il senso, la verità di Rovetta è ancora segreta. Chi diede l’ordine della strage?
Nel 1997, quando la Regina d’Inghilterra ha tolto il segreto di stato dagli archivi del SOE, il secret service inglese che agiva in Italia e nei balcani a “supporto” dei partigiani, gli storici hanno iniziato a studiare i documenti, e il quadro che ne esce ci dovrebbe portare a riscrivere alcune pagine di storia della resistenza. In primis quella della strage di Rovetta. Non ho il coraggio di rendere pubblico il sospetto, la possibilità che esce da queste carte.
Mi rivolgo a chi sa. Cos’hai, cos’avete da perdere? Quale era la cifra pagata? Chi era l’eminenza grigia arrivata con un’automobile lussuosa a dare l’ordine della strage, proveniente da Bergamo?
Non è mai troppo tardi per queste cose.

“…per voi ragazze belle della via ...”


“con l’avvicinarsi della primavera, il 28 aprile di ogni anno, sull’ imbrunire, dalla strada che scende dal Passo della Presolana, raffiche di vento strisciano tra le case poste sotto la montagna, rumoreggiando sulle pietre della via come un passo chiodato; sembra un passo cadenzato: è il marciare dei Ragazzi della Tagliamento, quando di pattuglia, scendevano a valle cantando“…per voi ragazze belle della via che avete il volto della primavera, per voi che siete tutta poesia e sorridete alla camicia nera…”
Si! è il cantare dei Legionari trucidati a Rovetta, che tornati in quella vallata, risalgono sulla Presolana, dove ogni notte sono di pattuglia; cantano, marciano e, mentre attendono giustizia, 
si chiedono e chiedono
PERCHE’ ?"
(tratto dal libro "ONORE–Una strage; perché? Rovetta 2 aprile 1945" a cura di Giuliano Fiorani 

AI 43 MILITI DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO TRUCIDATI INERMI 
IN ROVETTA IL 28 APRILE 1945 
E NEL RICORDO DI TUTTI 
I CADUTI PER L’ONORE
  
ANDRISANO Fernando, anni 22
AVERSA Antonio, anni 19
BALSAMO Vincenzo, anni 17
BANCI Carlo, anni 15
BETTINESCHI Fiorino, anni 18
BULGARELLI Alfredo, anni 18
CARSANIGA Bartolomeo Valerio, anni 21
CAVAGNA Carlo, anni 19
CRISTINI Fernando anni 21
DELL'ARMI Silvano, anni 16
DILZENI Bruno, anni 20
FERLAN Romano, anni 18
FONTANA Antonino, anni 20
FONTANA Vincenzo, anni 18
FORESTI Giuseppe, anni 18
FRAIA Bruno, anni 19
GALLOZZI Ferruccio, anni 19
GAROFALO Francesco, anni 19
GERRA Giovanni, anni 18
GIORGI Mario, anni 16
GRIPPAUDO Balilla, anni 20
LAGNA Franco, anni 17
MARINO Enrico, anni 20
MANCINI Giuseppe, anni 20
MARTINELLI Giovanni, anni 20
PANZANELLI Roberto, anni 22
PENNACCHIO Stefano, anni 18
PIELUCCI Mario, anni 17
PIOVATICCI Guido, anni 17
PIZZITUTTI Alfredo, anni 17
PORCARELLI Alvaro, anni 20
RAMPINI Vittorio, anni 19
RANDI Giuseppe, anni 18
RANDI Mario, anni 16
RASI Sergio, anni 17
SOLARI Ettore, anni 20
TAFFORELLI Bruno, anni 21
TERRANERA Italo, anni 19
UCCELLINI Pietro, anni 19
UMENA Luigi, anni 20
VILLA Carlo, anni 19
ZARELLI Aldo, anni 21
ZOLLI Franco, anni 16


 

Inter - Torino, 1991-92


 

Romanisti a Perugia, 1996-97


 

Indians Juventus, 1982-83


 

Como


 

25 APRILE: L'AMARO SFOGO DI UN VECCHIO COMPAGNO


 

venerdì 25 aprile 2025

L'INFAMIA NON VA IN PRESCRIZIONE


 

VENERDÌ 16 MAGGIO ORE 18.00 - AREZZO - SEGNA LA DATA


 

SANDRO PERTINI, IL “BUON NONNETTO CON LA PIPA IN BOCCA“ ...



LUISA FERIDA: STORIA DI UNA DONNA INCINTA
CONDANNATA A MORTE DA SANDRO PERTINI




“Avete mai sentito il nome di Luisa Ferida, pseudonimo di Luigia Manfrini Farnè? Probabilmente no. Provate a chiedere ai vostri nonni e bisnonni: forse la conoscono davvero bene.

Classe 1914, fu uno dei volti più celebri del cinema italiano negli anni ’30-’40, assoluta protagonista nel panorama del "Cinema dei Telefoni Bianchi". Marco Innocenti, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, la descrive così: «Bruna, impacciata, focosa, Luisa è bella da morire e ha già addosso quel broncio che porterà con sé nella sua breve vita. Gli occhi sono pungenti da zingara, gli zigomi alti, i capelli color carbone, il corpo splendido, il portamento altero. In lei c'è qualcosa di erotico, di torbido e di felino, una sensualità, una rotonda carnalità da bellezza popolana, così amata dagli italiani di allora»

Era l’estate del ’39 quando la bella Luisa conobbe Osvaldo Valenti, altro divo del cinema dell’epoca. I due furono colpiti dal dardo di Cupido, che li portò a vivere un’intensa storia d’Amore. Condivisero gioie e dolori, piaceri e rinunce, ma vissero sempre insieme, sempre uniti. Insieme ed uniti affrontarono anche le sorti dell’Italia a seguito del tradimento dell’8 settembre.

Valenti, che fino ad allora non aveva mai avuto incarichi nella compagine fascista, si arruola volontariamente nella Repubblica Sociale Italiana. Nel ’44 è tenente della Xa Flottiglia MAS. Nel frattempo, pare che la coppia frequenti Villa Triste a Milano, sede della famigerata Banda Koch. Diciamo “pare” perché non sono stati mai accertati legami tra quest’ultima e la coppia Valenti-Ferida. Nulla di certo, nulla di dimostrato; solo congetture e trame vigliacche, sufficienti per condannarli a morte. Difatti, il 10 aprile ’45 Valenti, forse per aver salva la vita e,soprattutto, quella di Luisa che aspettava un bambino, (la coppia aveva già concepito un figlio, morto purtroppo poco dopo la nascita), decise di consegnarsi spontaneamente ai partigiani. Si rifugiò in casa di Nino Pulejo, appartenente alle Brigate Matteotti, il quale però lo scaricò, affidando le due celebrità al comandante Marozin della Divisione Pasubio, che non era certo uno stinco di santo, dato che era stato trasferito a Milano dal Veneto per sfuggire ad una condanna a morte del CLN, (pensate!), per furti, abusi e altri crimini.

Il 21 aprile Marozin incontra Sandro Pertini il quale chiede di Valenti; avuta la notizia della sua prigionia, il “grande presidente” ordina lapidario: “fucilali (quindi anche la Ferida, incinta!); e non perdere tempo. Questo è un ordine tassativo del CLN. Vedi di ricordartene!”. «Ordine tassativo del CLN: chi lo avrà dato e quando? Di quell' ordine, che sarebbe stato determinato dall' accusa ai due d' avere partecipato alle torture della banda Koch e di avere collaborato con i tedeschi,(ripetiamo: circostanza mai dimostrata! ), dovrebbe esserci stato un documento scritto. Nessuno lo ha veduto. Di scritto c' è soltanto un foglio in data 25 aprile dove si legge che ‘...il CLN su proposta dei socialisti vota all' unanimità il deferimento al tribunale militare di Valenti Osvaldo e Ferida Luisa per essere giudicati per direttissima quali criminali di guerra per avere inflitto torture e sevizie a detenuti politici’. Dunque, un deferimento, non una sentenza. Ma in quel mese di aprile, e peggio nei successivi, c' era la fucilazione facile e bastò l' intervento di Pertini a decidere la sorte dei due attori. Marozin voleva scambiarli con cinque dei suoi presi prigionieri dai tedeschi. Fallito il tentativo, non ebbe scrupoli a liberarsi dei due ingombranti personaggi e ad eseguire l' ordine.»

Così, il Valenti e la Ferida furono condotti in una cascina, ove vissero i loro ultimi giorni. L’attore subì un processo sommario, al termine del quale fu confermata la condanna a morte. Condanna che non fu mai comunicata al diretto interessato e che riguardava anche la compagna. Ignari della loro fine, i due innamorati furono caricati su un camion tra gente rastrellata. Giunti in via Poliziano, furono fatti scendere e messi faccia al muro. La donna stringeva in mano una scarpina azzurra di lana, destinata a scaldare i piedi innocenti di quel bambino che non vedrà mai la luce. Partì la raffica di mitra. I due caddero al suolo, stretti tanto nella Vita quanto nella Morte. Su di loro furono adagiati due cartelloni. Due scritte rosse dicevano: «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Osvaldo Valenti»; «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Luisa Ferida». Tre vite spezzate in colpo solo. Due vite probabilmente incolpevoli riguardo le accuse di collaborazionismo nazi-fascista e di aver compiuto ogni genere di atrocità a Villa Triste; una semplicemente candida.

Come se ciò non bastasse, Marozin e i suo compagni depredarono anche gli averi della coppia defunta, finiti poi chissà dove.
Negli anni successivi, la madre della Ferida domandò una pensione di guerra, dato che traeva le sue sostanze dai proventi della figlia. La domanda rese doverosi degli accertamenti sulla vicenda. Le indagini dei Carabinieri portarono alla conclusione che “la Manfrini, (vero nome della Ferida,), dopo l'8 settembre 1943 si è mantenuta estranea alle vicende politiche dell'epoca e non si è macchiata di atti di terrorismo e di violenza in danno della popolazione italiana e del movimento partigiano”. Conclusione ribadita dallo stesso Marozin, il quale disse: “La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente. Ma era con Valenti. La rivoluzione travolge tutti”. Nemmeno Valenti aveva probabilmente fatto niente, come fu poi confermato dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ebbe a dire che la Ferida e Valenti non furono giustiziati, bensì assassinati. Su questa posizione anche Romano Bracalini, biografo di Valenti, che dice: "La frettolosa condanna del CLN obbediva sostanzialmente alla regola umana e crudele che alla spettacolarità del simbolo che egli aveva rappresentato corrispondesse subito e senza ambagi una punizione altrettanto spettacolare. In altre parole egli doveva morire non già per quello che aveva fatto, quesito secondario, ma per l'esempio che aveva costituito"

Questo è ciò dice la storia, ciò che è realmente accaduto in quei giorni maledetti, che qualcuno si ostina ancora a chiamare “giornate radiose”. 
 In cuor nostro speriamo solo che prenda avvio un processo di seria revisione storico-politica riguardo la persona di Sandro Pertini, indegnamente spacciato per un eroe del nostro tempo, per un uomo degno di stima e ammirazione.
 I fatti dicono il contrario: fu un inetto e, per giunta, con le mani sporche di sangue. E' giunta l’ora di smettere di scrivere l’agiografia di questo personaggio, di questo falso mito e di iniziare a dire la verità.: un cattivo che ha giocato a fare il buono, il “buon nonnetto con la pipa in bocca”

Ultras Treviso 1989


 

A Il 25 aprile riassunto in uno scatto


 

GLI ECCIDI DELLA VOLANTE ROSSA

 La Volante Rossa fu un'organizzazione paramilitare attiva a Milano e dintorni nell'immediato secondo dopoguerra, dal 1945 al 1949. Il nome completo era Volante Rossa Martiri Partigiani, comandata dal "tenente Alvaro", soprannome di Giulio Paggio.


La Volante Rossa era composta da ex partigiani comunisti e operai che ritenevano di proseguire con le loro azioni la Resistenza italiana. Si costituì un apparato organizzativo che discendeva da quello dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) definito "garibaldino" e impiegato nella resistenza fino al 25 aprile 1945.

Il nome derivava da un reparto di partigiani comunisti che operava nella zona dell'Ossola.

Aveva base nei locali della ex Casa del Fascio di Lambrate (Milano) in via Conte Rosso 12, trasformata dopo il 25 aprile in Casa del Popolo.

Questa forniva loro una copertura e permetteva loro di incontrarsi senza farsi notare, dato il via vai di persone.


Svolgeva funzioni di sostegno nelle attività del partito comunista e del sindacato, in particolare durante gli scioperi e le manifestazioni operaie, durante le quali svolgeva il ruolo di servizio d'ordine e protezione dalle forze dell'ordine e dalle rinascenti organizzazioni non comuniste come il il Partito Liberale e quello dell'Uomo qualunque e dalle organizzazioni neofasciste che in quegli anni ritornavano in attività con sedi, giornali e liste elettorali. Soprattutto in questo periodo diverse organizzazioni neofasciste, come i Fasci di Azione Rivoluzionaria, operavano per mezzo di azioni violente ed attentati verso esponenti della Resistenza italiana e dell'associazionismo socialista e comunista. Da qui nasceva la necessità di dotarsi di un servizio di protezione.

Contro esponenti delle organizzazioni neofasciste la Volante Rossa effettuò attentati e violenze.
Creata a Milano, allargò la sua influenza appoggiandosi a strutture locali e estese la sua azione in gran parte dell'Italia settentrionale e centrale.
Aveva alleanze e basi in tutta la Lombardia ed anche in Piemonte, nel cosiddetto "triangolo della morte" emiliano e nel Lazio.

Fu attiva per quattro anni, fino al 1949.
Molti dei suoi componenti furono ritenuti responsabili di una serie di omicidi e violenze a danno di persone politicamente legate al passato regime fascista, a partiti ostili a quello comunista come quello Liberale o a quello dell'Uomo Qualunque.

Vi furono azioni anche in danno di dirigenti e capi reparto delle fabbriche milanesi ritenuti responsabili di vessazioni (vere o presunte) ai danni degli operai

La Volante Rossa agì nel contesto di una organizzazione più ampia, di cui costituiva una parte.

Spesso simpatizzanti e fiancheggiatori della banda contribuivano al depistaggio delle indagini (quando venivano avviate) spargendo la voce di fughe improvvise delle vittime per luoghi lontani, in genere l'Argentina (già luogo di rifugio di molti fascisti).

Dopo le elezioni del 1948, essendo evidente che il Partito Comunista aveva perso le elezioni e che non si profilava la possibilità di conquistare il potere con la forza, l'organizzazione perse molta della sua importanza ma non cessò l'attività.

Nel 1949, dopo che alcuni membri furono tratti in arresto, l'attività dell'organizzazione cessò.

Il partito comunista, che li aveva a lungo sostenuti, rinnegò l'organizzazione: i vertici furono aiutati a fuggire in paesi al di là della "Cortina di ferro", mentre diversi appartenenti furono abbandonati al proprio destino.

Il processo si svolse nel 1951 presso il tribunale di Verona. Gli imputati furono 32, di cui 27 in detenzione e 5 latitanti. Le condanne furono 23, di cui 4 all'ergastolo.

Eligio Trincheri, condannato all'ergastolo, rimase in carcere fino al 1971, quando fu graziato dal presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.

I tre elementi di punta dell'organizzazione - Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Buratto, condannati all'ergastolo - furono aiutati a fuggire in Cecoslovacchia.

Vennero tutti e tre graziati dal presidente della Repubblica Sandro Pertini nel 1978.

Delitti imputati alla Volante Rossa

Il 21 novembre 1953, presso la Corte di Assise e di Appello di Venezia presieduta dal giudice dott. Guido Pisani, venne emessa la sentenza di II grado del processo «Volante Rossa». Dopo sei giorni di dibattimento, i componenti del gruppo Volante Rossa vennero condannati per i seguenti reati:

• associazione a delinquere;

• detenzione di armi;

• 16 giugno 1947: assalto al bar di Via Pacini in Milano;

• 29 ottobre 1947: invasione e danneggiamenti della sede del giornale «Il Meridiano d’Italia»;

• 4 novembre 1947: omicidio di Ferruccio Gatti, responsabile milanese del Movimento sociale italiano e tentato omicidio di sua moglie Margherita Bellingeri;

• 12 dicembre 1947: sequestro di persona (Italo Tofanello);

• 15 luglio 1948: occupazione dell’azienda industriale «Bezzi»;

• 27 gennaio 1949: omicidio di Felice Ghisalberti;

• 27 gennaio 1949: omicidio di Leonardo Massaza.

Sono questi, e nessun altro, i reati dei quali i membri della Volante Rossa sono imputati, sono stati processati e hanno subìto condanne. Qualsiasi altro delitto loro attribuito è frutto di strumentalizzazioni e speculazioni. Per comprovare questo basti consultare, come sopra specificato, la sentenza di secondo grado emessa a Venezia nel novembre 1953, a disposizione presso l'Archivio di Stato

(fonti: tutto il materiale processuale, ivi compresi gli interrogatori; la sentenze di primo e secondo grado; il libro di Carlo Guerriero e Fausto Rondinelli "La Volante Rossa", Datanews, Roma, 1996; il libro di Massimo Recchioni "Il Tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia", DeriveApprodi, Roma, 2011)

Appartenenti alla Volante Rossa

Elenco di alcuni componenti dell'organizzazione comunista, tra le parentesi il nome di battaglia, la professione e l'anno di nascita:

• Otello Alterchi (Otelin), elettricista, classe 1928;

• Felice Arnè, nome di battaglia Ciro, operaio, classe 1930;

• Giordano Biadigo (Tom), operaio, classe 1929;

• Bruno Bonasio, elettricista, classe 1926;

• Primo Borghini, custode della Casa del Popolo di Lambrate, classe 1920;

• Mario Bosetti, classe 1926;

• Natale Burato (Lino);

• Luigi Canepari (Pipa), meccanico, classe 1925;

• Camillo Cassis, (Cassis), idraulico, classe 1925;

• Ennio Cattaneo, elettricista, classe 1930;

• Domenico Cavuoto (Menguc), barista, classe 1930;

• Giulio Cimpellin (Ciro), meccanico, classe 1920;

• Ferdinando Clerici (Balilla), operaio, classe 1928;

• Luigi Comini (Luisott), fotografo, classe 1925;

• Walter Fasoli (Walter), disoccupato, classe 1917;

• Paolo Finardi (Pastecca), classe 1928;

• Mario Gandini (Milà);

• Pietro Jani (Jani), idraulico, classe 1926;

• Giacomo Lotteri (Loteri), meccanico, classe 1920;

• Luigi Lo Salvio;

• Angelo Maria Magni, elettricista, classe 1926;

• Sante Marchesi (Santino), radiotecnico, classe 1926;

• Antonio Minafra (Missaglia), classe 1919;

• Enrico Mondani, tipografo e segretario della sezione Lambrate del Partito Comunista Italiano, classe 1925;

• Mario Mondani, meccanico, classe 1927;

• Giuseppe Morandotti;

• Angelo Ostelli (Stuccafiss);
• Mauro Ostelli (Maurino); ex latitante in Cecoslovacchia;
• Giulio Paggio (Alvaro), classe 1925;
• Ettore Patrioli (Iaia), meccanico, classe 1926;
• Carlo Reina, conciatore, classe 1926;
• Emilio Tosato (Lietù), elettricista, classe 1929;
• Ferruccio Tosi (Cazzo), elettricista, classe 1929;
• Eligio Trincheri;
• Angelo Vecchio (Tarzan), operaio, classe 1925;
• Dante Vecchio (Tino), meccanico, classe 1917;
• Walter Veneri;
• Italo Zonato (Italo), meccanico, classe 1925.



I CRIMINI DELLA VOLANTE ROSSA 

31 agosto 1945 - Rosa Bianchi Sciaccalunga e la figlia Liliana, uccise a Milano, perché rispettivamente moglie e figlia di Stefano Bianchi Sciaccalunga, ufficiale della Decima Mas fucilato dai partigiani il 26 aprile 1946.

27 gennaio 1946 - Orlando Assirelli, commerciante, ucciso a Sesto San Giovanni.

6 febbraio 1946 Enrico Meneghini,  perché sospettato di appartenere alle Sam.

gennaio 1947 – Omicidio di Eva Macciacchini e di Brunilde Tanzi, simpatizzanti di movimenti di destra.
14 marzo 1947 – Omicidio del giornalista Franco De Agazio, direttore della rivista “Meridiano d’Italia”.

16 giugno 1947 – Assalto ad un bar di via Pacini 32, ritenuto luogo di ritrovo di simpatizzanti di destra, a colpi di sassi e di pistola.

6 luglio 1947 – Attentato contro l’abitazione di Fulvio Mazzetti, simpatizzante di destra, in Corso Lodi 33. La bomba a mano lanciata contro l’abitazione rimbalza contro una zanzariera e ricade in strada, ove ferisce uno degli attentatori, Mario Gandini. L’altro si chiama Walter Veneri.

10 luglio 1947 – Attentato contro la sede del settimanale missino “Rivolta Ideale”. Qui una quarantina di persone erano radunate per ascoltare una conferenza del professor Achille Cruciani. Due terroristi lanciarono una bomba nella sala con la miccia già accesa. Uno dei presenti la raccolse e la lanciò giù dalla finestra, ove esplose danneggiando il palazzo di via Agnello 10 e tre automobili.

27 luglio 1947 – Un ordigno al plastico viene collocato all’interno di un cinema nel quale il professor Cruciani doveva tenere un’altra conferenza. La polizia lo ritrova prima che esploda.

11 ottobre 1947 – Assalto alla sede del M.S.I. di via Santa Radegonda, che viene devastata. Numerosi missini presenti vengono feriti.

29 ottobre 1947 – Al termine di una manifestazione indetta dalla Camera del Lavoro, viene assalita e distrutta la sede della rivista “Meridiano d’Italia”.

4 novembre 1947 – Omicidio di Ferruccio Gatti, responsabile milanese del M.S.I., nella sua abitazione, in viale Gian Galeazzo 20.

4 novembre 1947 – Tentato omicidio di Antonio Marchelli, segretario della sezione del M.S.I. di Lambrate.

5 novembre 1947 – Omicidio, a Sesto San Giovanni, di Michele Petruccelli, aderente al Movimento “Uomo Qualunque”.
11 novembre 1947 - Giorgio Magenes Folli, agricoltore, appartenente all’Uomo qualunque, linciato da una folla di comunisti a Robbiano Mediglia (Milano) guidati dagli uomini della “Volante rossa”.

12 novembre 1947 – Assalto alle sedi dell’Uomo Qualunque in Corso Italia, del M.S.I. in via Santa Radegonda e della rivista “Meridiano d’Italia”.

13 novembre 1947 – A bordo di tre camion i terroristi della Volante Rossa si recano in via Monte Grappa e devastano la sede del Movimento Nazionale Democrazia Sociale.

14 novembre 1947 – Irruzione nella sede del Partito Liberale Italiano in corso Venezia.

27 novembre 1947 – Assalto alla Prefettura di Milano, insieme a centinaia di manifestanti che protestavano contro la sostituzione del Prefetto Troilo. Nella stessa giornata viene assalita la sede del M.S.I. e quella della RAI in corso Sempione.

6 dicembre 1947 – Aggressione ad una guardia giurata della Breda, a Sesto San Giovanni.

12 dicembre 1947 – Sequestro dell’ingegner Italo Tofanello, dirigente delle Acciaierie Falck, in via Natale Battaglia 29. Condotto in Piazza Duomo l’ingegnere viene costretto a spogliarsi e quindi viene rilasciato senza vestiti.

10 aprile 1948 – Disordini durante un comizio del M.S.I. in piazza Belgioioso.

25 aprile 1948 – Disordini durante una manifestazione non autorizzata a piazzale Loreto.

15 luglio 1948 – Scontri con le Forze dell’Ordine durante l’occupazione degli stabilimenti Bezzi e Motta.

13 ottobre 1948 – Aggressione ad alcuni dirigenti della Breda.

27 gennaio 1949 – Omicidio di Felice Ghisalberti in via Lomazza 
27 gennaio 1949 - Omicidio del dott. Leonardo Massaza in piazza Leonardo da Vinci, ritenuto simpatizzante di destra. 


L’elenco di questi crimini naturalmente rappresenta in modo assai sommario la vera attività della Volante Rossa. Si tratta degli episodi sicuramente attribuibili a questa formazione, mentre non compare una quantità di altre azioni che in quegli anni turbolenti furono commesse da estremisti di sinistra, quasi sicuramente appartenenti alla Volante Rossa, ma di cui non abbiamo documentazione certa.


IL GEN. FERRUCCIO GATTI UCCISO
 DALLA VOLANTE ROSSA NEL 1947

BRUNILDE TANZI, SERGIO LUPARIA, ENRICO MENEGHINI 
UCCISI A MILANO NEL 1946


MILANO 17 GENNAIO 1947 IL CORPO DI EVA MACIACCHINI
 RINVENUTO IN UN PRATO PRESSO LAMBRATE

Il 17 gennaio del 1947 a Milano vengono uccise dalla volante rossa   Brunilde Tanzi e Eva Maciachini.

Brunilde Tanzi nacque a Milano nel 1912 proveniva da una famiglia fascista e dopo l’ 8 settembre si arruolò nel Servizio Ausiliario Femminile della Xª Flottiglia MAS. Finito il conflitto bellico aderì ai Fasci di Azione Rivoluzionaria e al Partito Democratico Fascista in cui ricoprì un ruolo di primo piano partecipando all'organizzazione del trafugamento della salma di Mussolini nella notte tra 22 e il 23 aprile 1946  insieme a Domenico Leccisi. Leccisi nelle sue memorie la ricordò poi come "una bella ragazza slanciata, dai grandi occhi neri" e soprattutto "decisa e instancabile nel servire la causa comune". Il 9 dicembre 1946 la Tanzi era riuscita a far inserire ad un ignaro impiegato un disco in vinile con incisa la canzone Giovinezza durante le trasmissioni pubblicitarie ottenendo di far riecheggiare l'inno del Partito Nazionale Fascista su tutta la piazza del Duomo. Il 17 gennaio 1947 l'organizzazione terroristica Volante Rossa decise la sua morte;  a trentacinque anni Brunilde Tanzi venne uccisa nel centro di Milano in via San Protaso con un colpo d'arma da fuoco al petto. Nonostante tutti gli indizi e le modalità dell’esecuzione dell'omicidio indicassero come responsabili gli uomini della Volante Rossa, gli autori materiali dell'omicidio non furono mai scoperti e così non vi furono mai delle condanne. Lo stesso giorno fu uccisa anche Eva Maciachini a colpi di arma da fuoco nel quartiere milanese Venini Brianza. Era collegata, già da tempo, alle attività del gruppo “Sam”, Squadre d’Azione Mussolini. Un’organizzazione paramilitare, attiva, insieme ad altri movimenti neofascisti, dopo alcuni mesi dalla “Liberazione”. Il suo corpo fu rinvenuto in un campo nei pressi di Lambrate. La volante rossa era composta principalmente da ex partigiani comunisti e operai; fece attentati ed esecuzioni ai danni di persone legate al fascismo, di politici giudicati ostili al regime comunista e a dirigenti di fabbrica ritenuti responsabili di vessazioni nei confronti degli operai. L’organizzazione operò dal dopo guerra fino al 1949 non solo a Milano e in Lombardia ma anche in Piemonte, nel triangolo rosso e nel Lazio. La sua sede era a Milano nel ex Casa del Fascio di Lambrate in via Conte Rosso 12  rinominata casa del popolo. Questa dava loro una sicura copertura delle loro incontri per pianificare le loro azioni dato il grande via vai di gente che vi transitava.
Il numero totale delle vittime, rimase sconosciuto. Infatti il modus operandi era quello di far sparire i cadaveri senza lasciare traccia o impedendone comunque il riconoscimento. Spesso contribuivano anche al depistaggio delle indagini, spargendo la voce di probabili fughe improvvise delle vittime per luoghi lontani, in particolare l’Argentina, meta di rifugio di molti fascisti.

VOLANTE ROSSA
Questa aggregazione delinquenziale nasce poco dopo la cessazione delle ostilità belliche nell’estate del 1945, La creazione fu opera di un ex partigiano comunista, Giulio Paggio, già operativo in Valsesia nella “Banda Moranino” (zona passata alla storia per i fatti criminosi addebitati al “Moranino”, deputato comunista al Parlamento per il quale la Camera dei Deputati votò per ben tre volte l’incriminazione ed altrettante volte rifugiato in uno stato comunista dal quale rimpatriò tre volte per elezione). Il Paggio aveva operato in un gruppo chiamato “Volante Rossa” e ne conservò il nome. Lasciata la montagna era entrato a far parte della 118/a Brigata Garibaldi operante nella zona di Lambrate che conosceva molto bene avendo lavorato presso lo stabilimento “Innocenti” in quella zona cittadina. A fine guerra, contrariamente al ritorno alla normalità come quasi tutti, decise di continuare una sua clandestina lotta armata fuorilegge con scopi mai precisati. Si diede il nome di “Tenente Alvaro” e, riunendo intorno a se altri come lui, costituì una formazione che denominò, a memoria del passato,“Volante Rossa”. Questa formazione aveva come sede la “Casa del Popolo” di Lambrate, già sede fascista che ora ospitava diverse organizzazioni politiche comuniste. Con lui confluirono Ferdinando Clerici, Otello Alterchi, Natale Burato, Paolo Finardi, Giordano Biadigo, Sante Marchesi, Dante Vecchio, Eligio Trincheri e molti altri che successivamente furono tutti schedati dalla Polizia per crimini, tutti iscritti al P.C.I. (Partito Comunista Italiano) di Palmiro Togliatti.
Verso la fine del 1945 gli effettivi del gruppo erano una sessantina circa. Il programma della Volante era specificatamente politico. Non avevano problemi per l’approvvigionamento di armi perché, a sinistra, ne circolavano in abbondanza in attesa di nuovo impiego previsto per l’occupazione dello Stato Italia che si voleva far diventare provincia sovietica. Per il finanziamento si provvedeva con azioni di rapina, Primo obbiettivo fu lo svaligiamento dell’agenzia Bancaria di Varallo Pombia della Banca Popolare di Novara.
Venne acquistato anche un autocarro utile per le numerose trasferte. Venne anche adottata una specie di divisa consistente in giubbotti di pelle già in dotazione all’aviazione U.S.A., comperati in gran numero alla fiera “Sinigallia2 di Milano.
A Milano esistevano due formazioni armate comuniste ma la più attiva e feroce era la Volante Rossa.
Nel gennaio 1947 venivano uccise due nostre attiviste di destra. Eva Maciachini, attivista delle S.A.M. e Brunilde Tanzi del P.D.F. Il 14 marzo veniva ucciso Franco De Agazio, direttore del “Meridiano d’Italia”.
La notte del 5 luglio due militanti delle V.R.(Mario Gandini e Walter Veneri) effettuarono un attentato contro la casa dell’ex fascista Fulvio Mazzetti in Corso Lodi ma la bomba lanciata contro la finestra viene respinta da una zanzariera e ricade in strada ferendo il Gandino che viene arrestato.
Il 10 luglio avviene l’attentato di Via Radegonda (descritto in altra parte del libro) che se fosse andato a fine avrebbe fatto una carneficina (io ero presente).
Il 27 luglio un forte ordigno al plastico viene fortunosamente scoperto prima di un comizio politico all’interno di un cinema dove, in caso di scoppio, i morti sarebbero stati decine (io ero presente con tutta la direzione M.S.I.)
L’11 ottobre viene devastata la sede M.S.I. di Via Santa Radegonda ferendo varie persone presenti.
Il 29 ottobre viene distrutta e incendiata la sede del giornale “Il Meridiano d’Italia”.
Il 5 novembre viene assassinato Michele Petruccelli.
Il 13 novembre viene devastata la sede del Movimento Democratico in via Monte Grappa.
Inoltre vengono assassinati Felice Ghisalberti in via Paolo Sarpi e Leonardo Massaza.
Questo e molto altro dimostra la criminale determinazione della V.R. e la ragione per cui nacque in me la determinazione di restituire “pan per focaccia” e far capire ai capi comunisti che il “malfatto” si può anche riceverlo e perciò progettai l’attentato, poi realizzato) contro la Federazione Provinciale del P.C.I. sui bastioni Garibaldi dove si riuniva la Direzione del Partito con Longo, Paietta, Secchia, Amendola, e tutti gli altri tromboni del P.C.I. per il quale fui poi arrestato, processato e condannato.
Alla Polizia mi dissero poi che quando arrestarono tutti i componenti della V.R. fra i documenti trovarono un elenco di nomi di persone da assassinare nel quale il mio stava al 12° posto. Non poterono realizzare il mio assassinio perché mi trovavo detenuto a San Vittore.
Dagli incartamenti del processo alla V.R. venne alla luce senza equivoci che questa formazione era conosciuta e protetta dalla direzione del Partito Comunista.
Da una deposizione:” EE.. e in fondo il P.C.I. ci accettava, ci teneva nel suo ambito pur sapendo di determinate nostre attività.
Quando nella sezione eravamo armati o giravamo in camion armati, il partito
non poteva ignorarlo”.
Stando ad un rapporto della Prefettura la lotta politica a Milano si preparava
ad assumere i contorni di una vera e propria guerra tre bande paramilitari
organizzate da ogni partito politico.
Fra queste attività ha maggior risalto quella facente capo al P.C.I. che è appoggiata e controllata da elementi slavi. Essa dispone di un numero rilevante di adepti inquadrati e sottoposti ad un regime disciplinare che nulla ha da invidiare a quello militare e dispone altresì di importanti aliquote
di armi e munizioni.
Purtroppo qualcosa era trapelato su questa Brigata ed il primo a pagare con la vita fu proprio il Gen.le Ferruccio Gatti che venne assassinato a casa sua da Paggio e Biadigo della Volante Rossa che, per farsi aprire la porta di casa, usarono proprio il mio nome. Questo particolare fa parte degli atti del Processo relativo. Io stesso, seppi poi, ero nell’elenco dei candidati a morte della Volante Rossa e mi salvai solo per il fatto che venni arrestato e detenuto al carcere San Vittore.
Questo mi venne riferito dalla Polizia successivamente.
Tratto da “Giovinezza” Dicembre 2012



Rosa Bianca e Liliana Sciaccaluga

Milano 31.08.1945 - Le sedute pubbliche del quarto Congresso del Partito Comunista Italiano si svolsero a Milano nel gennaio del 1948. Il servizio d’ordine che proteggeva, sorvegliava e bloccava l’accesso al palco dei dirigenti nazionali e dei delegati esteri era formato da circa cinquanta persone armati e in divisa militare con giubbotto di pelle marrone, dai bordi con lana di pecora. Sulla manica destra, cucito con cura, recava un triangolo di stoffa con la scritta “Volante Rossa”. Alcuni portavano sul petto una medaglia lucida di ferro sospesa legata ad un nastrino di colore rosso. Da un lato vi erano foglie di quercia in rilievo che sovrastavano la scritta “Brigata d’Assalto”; dall’altro vi era in primo piano una figura che imbracciava e mirava con il fucile. Generalmente gli uomini si spostavano insieme, viaggiando su alcuni camion Dodge, trafugati alle forze armate statunitensi. A volte, nelle rare occasioni di parata in pubblico per le strade della città, cantavano una marcia di origine russa adattata con parole italiane. Il gruppo storico della famigerata Volante Rossa, sorse nell’estate del 1945, come risposta alle riorganizzazioni neofasciste, per volontà di alcuni ex partigiani appartenenti alla Brigata comunista Garibaldi Valgrande Martire. La sede, fu collocata presso la Casa del Popolo di Lambrate in via Conte Rosso, mentre la direzione fu affidata a Giulio Piaggio, soprannominato Tenente Alvaro, ed ex comandante della Brigata Garibaldi. Operaio elettrotecnico presso la fabbrica Bezzi, riuscì ad ottenere l’esonero dal servizio militare come elemento insostituibile per la produzione aziendale. Già a partire dalla fine di agosto del 1945 si ebbe notizia di una prima esecuzione sommaria attribuita alla Volante Rossa. Grazie alle indagini condotte dalla Magistratura e al lavoro della stampa per la divulgazione della notizia stessa, fu svelato il mistero dell’assassinio della famiglia Sciaccaluga. La signora Rosa Bianca Sciaccaluga e la figlia Liliana, fanatiche fasciste, si erano trasferite a Milano quattro mesi prima, per sfuggire alle persecuzioni dei partigiani. Il marito, Stefano, fu giustiziato il 26 aprile mentre tornava da Brescia in divisa da ufficiale della Decima Flottiglia Mas. Le due donne vivevano in una camera di pensione presso la casa in via Pindemonte, a Porta Monforte. Nel giugno dello stesso anno, avevano subito una perquisizione ad opera di presunti agenti del Commissariato di Magenta. Il 31 agosto, intorno alle diciassette, furono invitate, dagli stessi uomini, a recarsi presso gli uffici amministrativi. Di loro si persero le tracce. Entrambe furono ritrovate alcuni giorni dopo nello stagno della cava Gaslini, cinquanta metri dal cimitero di Corsico, uccise da un colpo di rivoltella sparato a bruciapelo al volto.

"LA STAMPA" DEL 20 APRILE 1947
PROCESSO AGLI ASSASSINI DEL 
GIORNALISTA FRANCO DE AGAZIO

LA STAMPA 10 FEBBRAIO 1951

LA STAMPA 20 FEBBRAIO 1951

LA STAMPA 22 FEBBRAIO 1951


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